Alessandro Canestrari
La creatività di questo giovane artista esalta lo slancio di una polimorfe sequenza visiva che filtra e desume, da esperienze vissute o immaginate, le emozioni: metafora del proprio modo di essere e relazionarsi.
Degli scatti di Alessandro stupisce e fa riflettere la profondità introspettiva del campo d'indagine, il taglio decisamente empatico del suo stato d’animo.
Tra le più recenti immagini ‘astratte’, ho scelto un emblematico momento di riflessione (che riconduce la memoria kafkiana, oltre a Baudelaire e Proust) sul senso dell’inquietudine martellante, quel ‘male di vivere’ , denso di ombre e inconfessati sensi di colpa, che attende il bagliore della rinascita. Sulla soglia della ‘self-consciousness’…
Hobby (Il Cacciavite giallo)

Può un ammasso informe - cavi elettrici, suppellettili dismesse, chiavistelli arrugginiti, e quant’altro chiuderemmo in un magazzino dimenticato dalla frequentazione quotidiana – trasformarsi in una coloratissima essenza piramidale che suggerisce il fermento artistico di una personalità complessa e, al tempo stesso, ansiosa di rivelare e di rivelarsi? Per Alessandro, il fulcro visivo della mente, sintesi dell’ autoconsapevolezza s’informa in quel cacciavite giallo, la nota vitale, l’otium della libera ispirazione, alla base della piramide. Non a caso, ma per il fluire delle idee: Hobby, minuscola label che raccoglie Il puro piacere dell’immaginifico, tra onirismo e graffiante rivelazione. Sfiorando, in libero approdo, Magritte e Chagall, per omaggiare Basquiat…
Paesaggi dell’anima. Cambogia e Vietnam.
Come nel deserto, la luce naturale è la grande protagonista…Canestrari affronta il viaggio in terre lontane, incontrando il mistero affascinante di culture per taluni aspetti indecifrabili, il silenzio, la natura dei luoghi, sacrali creature e paesaggi incontaminati. In questi scatti, si amplifica il significato simbolico del continuo interrogarsi sul senso da attribuire alla propria esistenza e quel rifiuto istintivo verso lo schermo fumoso della civiltà occidentale . Ne scaturiscono immagini cristalline, con una netta riconquista della prospettiva, sia nei primi piani che nelle panoramiche (Mc Curry e McNally). Con definitivi rimandi letterari a Conrad, sulla scia tra romantico e moderno (il Grand Tour), sapienti tracce dell’abbandono sognante su Mowgli e, ancora, Salgari, per l’amore dell’avventura e la maestosa fierezza delle fisionomie . Così, l’obiettivo di Alessandro.. Nella visione fotografica ricrea in maniera esotica i dubbi dell’animo al confronto con la natura (Lord Jim).
Angkor Child. Lo stesso ragazzo (profilo, verso sinistra) che apre la prospettiva sulla destra della fotografia panoramica, in un lento scoprire riflettente l’interezza dello sfondo orizzontale (ambientazione, McCurry), potrebbe, in prima battuta, ricordare i confini dell’altrove di Bertolucci. Invece si riallaccia ai movimenti di macchina di Ang Lee: la visione disneyana del paesaggio e della riflessione. 
Lost Baggage. Una palette giocata su contorni sfumati in prospettiva. Il mare, una barca all’orizzonte, il riverbero della luce sulla sabbia e una valigia, solitaria entità, “cacofonia visiva” abbandonata a se stessa. L’altra faccia del ‘road movie’ (oltre la tragica fuga di Thelma e Louise) che viene, nel “Thé nel Deserto” di Bertolucci, cristallizzato dall’esaltazione di Kit e dalle amare considerazioni sulla vita espresse dallo stesso Bowles, autore del romanzo… In questa foto, l'apertura alla sequenza visiva non esplicita un eventuale passaggio di tempo o trasferimento di luogo ma suggerisce (afferma Canestrari medesimo), con sommessa intensità, il desiderio “ di volersi perdere in luoghi affascinanti, dove poter imparare nuovi costumi ed usanze, lontani dalla routine quotidiana”…
Spiritual Waterfall. Meditazione, l’essenza del Buddhismo. Il lussureggiante angolo della cascata nella foresta è la sacra quinta mobile, in pienezza visiva, che – oltrepassando il gruppetto di turisti sul campo sinistro - vira sui giovanissimi seguaci (in appoggio sui massi) in toga arancione ammiranti il paesaggio. Cromia smeraldo e arancio, il vero faro di luce, sono metafora della fuga della mente, in una visione proiettata alla pace interiore. Un assunto che Canestrari allaccia all’intensità di uno sguardo antico… “attraverso il potere della parola scritta, di farvi ascoltare, di farvi sentire... ma prima di tutto di farvi vedere. Questo è tutto, e nulla più. Se ci riuscirò, troverete qui, secondo i vostri desideri: incoraggiamento, consolazione, paura, fascino - tutto quello che domandate - e, forse, anche quello scorcio di verità che avete dimenticato di chiedere.” (prefazione a “Il Negro del Narciso”, 1897)
Animalia. Una voce immediata di riferimento è il National Geographic, di cui Alessandro ha memorizzato il climax. Nonostante gli scatti appartengano alla visita ad uno zoo svizzero (a perfetta organizzazione per gli ‘ospiti’), la fisionomia mutevole ed estremamente espressiva delle ‘fiere’ è una maschera umana… Il merito indiscusso sta nella ricreata atmosfera dei luoghi d’origine, poiché i contorni della fotografia di Canestrari fremono come fruscii della giungla, ripercorrendo a ritroso “Cuore di tenebra”… Esplorando l’anima, un racconto che non sa di réportage ma di viaggi remoti e selvaggi.
E così la titolazione dei soggetti ripresi è pura essenza di uno stato d’animo.
Cold. Il Leopardo delle nevi.. La doppia sembianza, l’espressione dello sguardo, quel portamento quasi ieratico “sinonimo di fierezza e forza (oltre che eleganza come solo i felini possono avere), contrastato dalla fragilità esistenziale della specie stessa dato che è in via di estinzione. Visivamente si comunica un senso di ’freddo’ che ho accentuato in post produzione cercando però di mantenere la foto il più naturale possibile..”. 
Peace. Il gorilla supino ha un'espressione rilassata, il primo piano è per quello sguardo mobile che s’interroga e attende la prossima mossa dell’interlocutore ( “Il Libro della Giungla”, nell’umanizzazione regalata da Kipling), assaporando la pace di un momento. Rendendo “ l'espressione simile a quella umana, ricordo delle nostre origini. C'è anche una vena di malinconia in questo essere così intelligente, nato e cresciuto libero…”. Lo stare in cattività fa scaturire l’interesse ’vigile’ verso i propri ‘simili’, quella folla in attesa, avida del fenomeno. Scatta un amore intermittente, tra insaziata curiosità e magnetica fascinazione.
Wild. La Tigre. Maestosa, selvaggia, temibile: “ lo si vede dallo sguardo minaccioso e, ovviamente, dalla lepre che serra tra le fauci. E' una fiera solitaria, abituata a cacciare in solitudine, l'ha scritto nel dna…”. Oltre la simbologia sacrale delle leggi della foresta (Salgari, “Le Tigri di Mompracen”), “ è stata programmata geneticamente per essere cacciatore solitario e micidiale, anche nei riguardi dell'uomo. Ma indica, comunque, il segno di un’ altrettanto oscura predestinazione, nella fragilità e nell’aura fascinosa di una specie destinata a scomparire”.
Aldo Cervato
Scorrendo l’autobiografia di Cervato, non stupisce la predilezione di questo artista per il viaggio dell’anima. Quell’ anima nutrita nel paradiso d’arte delle grandi capitali italiane ed europee, dove la Storia vive la grande cultura rispettosa dell’ ispirazione quotidiana o, nel fremito ‘evergreen’ di New York, il largo respiro delle avenues, quando lo sguardo, stanco di ‘madding crowd’ riesce comunque ad isolarsi e a perdersi nell’intima visione di un sogno o, ancora, nel raccoglimento meditativo di un remoto Giappone, dove l’obiettivo di Cervato indugia, in romantico pellegrinaggio, a ritrarre lo splendore architettonico di innumerevoli templi, palazzi e giardini, cinta dell’antica Kyoto, perla di saggezza, isola felice e tuttora gelosamente preservata contro il disfacimento dell’incuria umana ….Cogliendo quest’ultimo passaggio, dalla Venezia nipponica, il fil rouge dell’immaginario non può che approdare alla Venezia dell’amore multiforme. La Venezia della musica e della letteratura, culla museale per eccellenza, con i fastosi edifici ultrasecolari affacciati sul Canal Grande, e, ancora la Venezia immota e persa nei suoi rii, la Venezia riposta e negletta dalle rotte turistiche, dove gli antichi mestieri sopravvivono immutati ed immutabili, grazie alla tenacia dei pochi abitanti superstiti. Del fascino sottile ed eterno di questa meteora lucente che si ostina a resistere agli assalti del Tempo, Aldo Cervato ha immortalata la stessa geometrica sobrietà dipinta dai grandi vedutisti, privilegiandone la medesima atmosfera setosa, l’impalpabile, avvolgente Silenzio. Quel silenzio grigio dall’esterno, nella bruma o nella caligine estiva che, a dispetto dell’apparenza, inonda l’anima di luce. Sono immagini straordinariamente evocative, scaturite dal fremito di una passione dirompente che libera l’obiettivo in un merletto di seduzioni. Di quello spazio vuoto, puro, Cervato ha saputo cogliere l’Essenza: una verticalità immanente retta sul precipizio delle acque placide e minacciose, al contempo… Della Roma autocelebrativa, con i grandi spazi monumentali che si aprono nell’ottica rigorosa e abbacinante di piazze e nel passo notturno per antiche vie lastricate (ricordo delle muse inquiete e delle architetture di Balla, Boccioni, De Chirico, financo Severini), Cervato non esita a sfogliare, inoltre, un taccuino di impressioni visive di ben più lirica intimità, allineando l’incedere stagionale alle fasi della vita. Così, in inverno, la solitaria passeggiata di un uomo nel parco sfuoca in un surrealistico straniamento, in quel senso d’abbandono che resta il frutto di una desolazione inascoltata (Magritte e Man Ray).
Parigi. E’ la città più ‘vissuta’ da Aldo che non esita a recarvisi ad ogni cambio di stagione per cogliere i mutamenti della luce ad ogni ora del giorno. Parigi, scissa nei suoi poli dialettici (Walter Benjamin), il cui centro, a misura d’uomo (forse l’unico nel perimetro artistico internazionale) resta percorribile in una sera, entrando nel sogno del passante: con ciascuna lastra di pietra, con ogni insegna di negozio, ogni gradino ed ogni androne (una serie di scatti in b/n che ricordano le tappe itineranti dell’immensa raccolta di documents pour artistes di Atget e Doisneau). Camminando senza meta apparente, con sola guida il battito del cuore, Aldo, riedita il cliché letterario del flàneur , girellone in questo “paesaggio di vera vita” tanto amato da Hoffmanstahl e Breton…. Quegli angoli che sfociano in un passage, fitto di finestre in fiore e le tendine di pizzo, sono l’anima di una perfetta intimità di conoscenza proustiana. E il simbolo della grandeur parigina, dopo quelle allées battute dalla pioggia e dal sole e l’eterna memoria dei boulevards cantati da Montand, resta, oltre Piramide del Louvre,
la Tour Eiffel. Quella mole di acciaio, a cavallo di due secoli, non teme il futuro e si presta all’indugio di eleggere a proprio domicilio il numero – il bagno di folla – il fluttuante e il mobile – il corteggiarsi in volo di due bianchi colombi -, il fuggevole e l’infinito – l’impressione della mole riflessa leggiadra in una pozzanghera - . Fotografia in segno dell’arte, sfiorarsi di proiezioni ortogonali, di spazi infiniti che interagiscono tra esterno ed interno, in un’ideale sovrapposizione.
Cervato predilige lavorare negli spazi aperti, di cui Londra è regina e madre d’ispirazione. Queste immagini sono lo sguardo sul passaggio epocale, dove l’eco nostalgica apre all’ammirato stupore e alla fremente attesa di nuovi scenari di identificazione. Gli shots appartengono a una diversificata tipologia: l’interesse nei confronti della natura, dei monumenti, verso la performance e, infine, per l’architettura.
Natura: lo sguardo è concentrato puntando verso una realtà ben attuale ma molto filtrata dai grigi e dagli scuri che si trasformano in persone...Che camminano o riposano…
Oppure la fotocamera si rivolge ai parchi e ai suoi contenuti. Si colgono sostanzialmente rimandi al cinema di Vincente Minnelli ma essenzialmente di Woody Allen, autori geniali e coadiuvati sul set da grandissimi fotografi – da Gordon Willis (Manhattan, Stardust Memories, La Rosa Purpurea) a Carlo di Palma (Settembre, Ombre e Nebbie) al mago Sven Nykvist…Sulla loro traccia, Cervato regala alla fotografia il fascino del racconto, scandendone la sequenzialità emozionale nell’incedere dei personaggi. Sono ravvisabili quelle ‘vibrazioni dell’anima’ tanto amate da Alfred Stieglitz, padre della fotografia artistica, e conquistate da Aldo, come già fecero i pittorialisti europei.
Monumenti: restano nel portfolio di molti fotografi: l’obiettivo di Cervato riflette una classica, incisiva specularità.
Performance: la presenza fisica, l’agilità ludica, il graffiante dominio del campo, sono le interessanti notazioni nei ritratti di alcuni performers.
Architetture: a parer mio è la tipologia più importante e rimanda in netta misura ai plastici dei progetti degli architetti alla moda. Lo scatto ritrae grandi spazi (in particolare musei) chiusi, con pochi passanti, ciò che basta a rendere realistico lo sguardo. Il bianco è il colore che predomina con giraffate di nero. Sembra che la camera voglia volare verso il galattico ma invece resta ben salda a contemplare il disegno dell’architettura.
Significativi gli scatti per “Battersea Power Station” e sbalorditiva la somiglianza con le immagini di Erich Angenendt, autore di straordinari scenari industriali nei primi decenni del Novecento.
Caterina Berardi