Un' identità alquanto multiforme, l' impegno di tutta una vita. Un ruolo di chiara dedizione l'essere manager di se stessi (e, quindi, condividere il bagaglio delle esperienze maturate) che porta a far convergere nella propria professionalità la costante applicazione nello studio e l'approfondimento della quotidiana ricerca nella pratica: al di là del convenuto e oltre le barriere, l'irrinunciabile banco di prova, il vero speculum veritatis del nostro agire.
Una riflessione ben radicata nel modus vivendi et operandi di Mirène Géninet: grazie alle diverse (e collimanti...) specializzazioni universitarie – matematica, letteratura francese, diritto, un'appena conclusa attività conferenziera presso l'Ateneo di Reims – una carriera di successo, dove il patrocinio forense presso la Corte d'Appello di Parigi (universo di assodato prestigio, con alta percentuale mascolina e...maschilista!) rappresenta soltanto il tratto conclusivo di un variegato excursus che principia da un grande amore per la sete di conoscenza. Per Mirène, dunque, il conoscere apre al desiderio di condividere: non solo la propria ma soprattutto altre culture, con una confessata predilezione per le terre e le genti del Mediterraneo. Mondo fatto di luce, cui Mirène (nome alto-provenzale, richiama mirabilis) – sente di appartenere da figlia orgogliosa. Talvolta, non solo soste (Marocco, Tunisia, Libano) ma veri e propri insediamenti, magari per anni (dall' Egitto, la sinergia collaborativa con l' Association Internationale des Amis des Musées d' Egypte) e con appendici familiari (una figlia, professionalmente inserita al Cairo). Non poteva mancare, nel diario di viaggio, l'approdo in Italia - per Mirène, la vera culla dell'Arte, oltre che sua nuova sede -, in antitesi al freddo e alle brume del Nord....
Che cosa, infine, rappresenta l'arte per Mirène? Il filo conduttore tra il duro impatto del quotidiano (non ci stancheremo di ripeterlo, l'atavico fardello perno del corso delle 'umane cose' ) e il 'giardino segreto', la sola dimensione interiore dove si vivifica l'essenza della creatività individuale.

L'atelier.
Una dimora nel centro storico di Revere - già feudo ducale dei Gonzaga sull'ansa mantovana del Po e delizioso anfratto con ritmi di vita ormai inusuali riflessi nel fascino senza tempo dei palazzi amorosamente preservati - è il ' buen retiro' (in attesa di permanenza a più lungo tratto) scelto da Mirène Geninet per la sua casa - atelier, comunque destinata a progetto espositivo anche per altri artisti. Sul retro, il giardino è involucro esterno a tutela del cuore privato della maison, poichè il minuscolo prato all'inglese e i graticci lignei per rampicanti assicurano privacy all'angolo conversazione. Lo spazio abitativo vero e proprio, a fronte di un sapiente restauro delle parti architettoniche improntato a criteri di levigata semplicità e dal rispetto per l'ambiente (materiali e procedure, anche per l'arredo su misura, essenziale ed elegante, senza eccessi) prevedendo muri imbiancati a calce, pavimenti in grés grigio chiaro e il recupero delle soffittature a travi di legno, non ha dunque scelto vie radicali...Bensì, con più ampia concezione – per esaltare il coup-d'oeil nell'open space a quasi 360° - ha introdotto mutamenti strutturali. Vale a dire, l'abbattimento di parieti divisorie e ricavo di due piccoli servizi indipendenti nel vano dell'antico sottoscala, l'alternanza di pianta (da sezione quadrata a rettangolare) e, infine, l' implemento di cubatura in aggettante verticale - quindi, maggior altezza in entrambi i livelli -.
Il fil rouge, il continuum dello spazio interno, non interrompe affatto il netto distinguo
visivo. Due, le aree, per altrettante identità contrapposte, privata e pubblica, unite da sinergia d'intenti. Ampie finestre sul giardino per due grandi stanze: cucina e living a pianterreno collegate al soppalco che ospita la zona notte e studio da un'alta scala di ferro - duplice rampa a larghi gradini -. Anche lo spazio-atelier, il vero accesso padronale finestrato 'sur-le-trottoir', ricorda la tipologia di analoghi contesti rivolti ad un pubblico di appassionati. Ampia nicchia, allure ovattata grazie ai punti-luce intesi a valorizzare le opere in esposizione e ai pochi pezzi d'arredo e oggetti design, strategicamente posti in angolo, consentono al visitatore un'indulgente, totale libertà di guardare, soffermarsi ancora e, infine, riflettere...

Un renouveau par la jeunesse. Opera scelta dalla Giuria per l' AlteRnaTive – nella sezione pittura urbana - l'imminente Salon d'Automne 2011.
Che Che cosa rappresenta la metafora Parigi nell'immaginario collettivo di ogni generazione? Quell'orbita di pensiero - il sempre azzurro anelito contro il piombo dell'immobilità - che rende l'azione il motore primo del perenne rinnovamento di una coscienza. L'incipit, dunque, è a Parigi: la scuola, per lo scorrere medesimo della civiltà. Proprio qui la sconfitta, sempre peraltro temporanea, porta insito il gene del progresso ed affonda le sue radici... Parigi, distesa, vitale, brulicante di fermenti. Dunque, mai paga di se stessa. Da decenni e decenni, Parigi è il manifesto dipinto a toni graffianti che mai ci stanchiamo di ammirare e che il vento freddo, la pioggia battente del Nord, infine la corsa di nubi di un limitato orizzonte, non riesce a staccare dal muro. Parigi. Impossibile ignorare la voce della sua anima, araldo saettante di storici passaggi, di quelle pulsioni sfaccettate che portano in pari storia e cultura. Affiancate alla ricerca, alla poesia, all'arte tutta, di cui la moda è il naturale propagarsi. Non solo nell'ambito circoscritto dei trend ma per il tempo a venire. Parigi. Tra disciplina e sospiro 'maudit', risuona di volta in volta quell'eco – dolce, sia pure nei contrasti, radiosa e, per un attimo, cupa -. Parigi. Immenso, spettacolare cantiere. Girandola evergreen, ha ali di ribellione libertaria. In fondo, null'altro che il desiderio di una 'normale' conquista. L'utilità di questa disgressione apre alla nota che in-forma un lacerto urbano, gioioso e riflessivo al tempo stesso e pulsante come un cuore aperto. Una sorta di dècollage con un senso di appropriamento e distruzione, la denuncia dei nessi dell'effimero legato all'ambiente urbano...Nello zoom prospettico, l'Eiffel e le avenues delle militari parate (gloria nazionale della grande tradizione di conquista) si animano e sorridono alludendo alle architetture, fantasia avveniristica volutamente essenziale - nel gioco di linee di contorno in piani intersecanti – che rende sovrano incontrastato il colore. Implicito ma profondo, il messaggio. Da Parigi, ancora, appartiene alla 'nuova' gioventù la speranza. Di ricostruire se stessi in un mondo finalmente a misura d'uomo. Pagina tutta da scrivere sul vecchio libro della storia...
Arte. Ieri. Storia di una passione...
Fotografia. Per Mirène Geninét, il primo criterio informatore del dipingere en plein air e rappresenta il vero occhio (Cartier-Bresson), quell'analogo visivo del carnet de voyage che guida l'esplorazione di uno stato d'animo. Il focus dell'immagine raccoglie il flusso dei pensieri e sentimenti che la percezione - input emozionale mai uguale a se medesimo - mette in moto. Nonostante l'apparente immobilità del soggetto, lo sguardo dell'obiettivo fissa l'ultima sequenza dettata da un immaginifico tempo di posa che elude i ritmi del movimento, inteso quale elemento umano. Da presenza a non presenza, volutamente rimossa...Così, l'incedere fotografico dei dettagli apre ad una narrazione tra poesia e verità ricca di risvolti espressivi, compatta nella disanima di tanti significativi segni nati spontaneamente o impressi dall'uomo. Da realismo ad iperrealismo: esaltando il privilegio della purezza (il paesaggio fluviale al tramonto o uno scorcio architettonico) nell'allure surreale, quasi metafisica, di una sapiente mistificazione estetica. Metafora di e per altri racconti (Paesaggi. Monumenti. Sul Po. Revere, Palazzo Ducale, 2010 - 2011).
Pittura. Dall'età di dieci anni, Mirène coltiva la passione per il dipingere. Un amore naturale trasformatosi, nell'andare del tempo, in simbiosi ispirativa: quasi un panteismo eletto dove la sensibilità si fonde con l'emozione, oltre la fisica dello sguardo. E Mirène deduce il Creato nel proprio sentire interiore, grazie ad un patrimonio dimorale che non risente del laccio dell'usura o del convenuto ma sposa il rispetto, quel valore ormai desueto che porta alla soglia della più libera fantasia. L' introspezione. E' dunque la via del cuore lo scrigno socchiuso, protetto dal falso bagliore delle apparenze, di cui Mirène custodisce gelosamente la chiave? Annuisce, la Natura che, di volta in volta, rinnova nella mano felice di Mirène (delicata, anche nella decorazione floreale su mobili decapati e la 'schiena' di fontane in pietra) il proprio trait-d'union tra idillio poetico, pura dimensione onirica e l'orizzonte della vita quotidiana. Ma, come nel mito e nelle favole, la felicità di esistere per l'uomo nella Natura ha una condizione: la presenza sia marginale. Intuibile, in lontana prospettiva. Quindi, soltanto sottintesa.
Il Paesaggio. Boschi e Radure. Nelle opere di Mirène dedicate al paesaggio francese a schema 'classico', baciata dalla luce è la delicata suggestione trompe-l'oeil della foresta. Cesellata miniatura in pieno rigoglio di svettanti guardiane a fluttuanti presenze – gli abitanti di un villaggio, oltre un campo di grano punteggiato di papaveri, immerso laggiù, nel pacato blue della sera – o di quei boschi, dove le chiome con la carezza di un rapido tratteggio suggeriscono il risorgere della primavera. L' anima verde - negli alberi sulle rive e l'aprirsi della radura in fiore specchiata nelll' infinito seducente riflesso del laghetto -...(Olii, Acrilici, Pastelli. Paysages Francais. Le Printemps. Paris, Galerie Christian Siret - Jardins du Palais Royal -, 2003 - 2004). 'Fotografa', Mirène, la sacralità dei quattro elementi – terra acqua aria fuoco - dell'avvicendarsi stagionale in impressioni ed emozioni di estrema raffinatezza compositiva: angolo visuale unico ma immediatamente condivisibile. Ci incamminiamo, al suo fianco, per un sentiero privilegiato, dove l'elegante cromatismo nella sfumata palette del grigio indica la gelida bruma invernale – rami spogli, ad inclinazione comunque non convulsa verso il pallido sole immerso in una lattea caligine -. Continuamo, oltrepassando quel sottilissimo e pressochè invisibile confine au lisière du bois, suggerito sotto voce dalla linfa vitale che continua ad pervadere, nell'incedere delle stagioni, 'quelle' foreste al risveglio primaverile. Quando un prato ancora arso dal gelo ha timore di accogliere germogli ma, sotto un cielo marzolino ancora pallido per l'ultima neve caduta, si copre di un nuovo respiro. Il bianco fiore degli alberi.
Provenza. Se la natura mostra il suo volto più vero attraverso il silenzio, le inquietudini dei cambiamenti d'atmosfera avvengono simboleggiati o appena suggeriti...
Così interpreta Mirène la legge della sacralità totemica legata al monte Sainte-Victorie (nume tutelare della valle dell'Arc, desunto da Cézanne in stupendi coup-d'oeil) poiché la luce è il diamante di una rarefatta atmosfera captata nel riverbero del costone roccioso...(Pastelli. Acrilici. Provence sauvage. Paris, Galerie Christian Siret – Jardins du Palais Royal -, 2006).

Traspare da questa produzione la joy de vivre di Mirène, il suo sentirsi ispirata da una Natura in trionfo. E' seducente apoteosi di frutti, nata da un concerto di colori. D'estate, l'azzurro cobalto di quel cielo dove, riluttante, si affaccia uno sfilaccio di nuvola, o l'aprirsi a ventaglio del girasole nel campo di grano maturo, e, ancora, la completa gamma di luminescente, morbido verde – da muschio al tenero foglia alla preziosa veste giada del céladon al sensuale smeraldo – dal rosso dei papaveri d'agosto, al viola intenso dell'ombra al crepuscolo, all'indaco, per il fragrante sentore della lavanda. Scenari di uno stato d'animo, soltanto indicato dal colore, che si trasformano nell'incedere o nel ritrarsi graduale della luce in epifanie paesaggistiche, di volta in volta folgoranti, o dove la vista si placa mentre l' andante del tripudio vegetale e dei profumi inebria l'olfatto.
Africa Mediterranea, Egitto e Libano
Tra Mirène e i Paesi dell' Africa Mediterranea, dalla catena dell' Atlante all'Egitto a Beyrouth (antiche deduzioni di Roma imperiale sul 'mare nostrum') l'approccio è amore a prima vista. Riaffiorano così, all'improvviso - magia dejà vu appartenente al ricordo di altre vite - radici e profumi di una memoria loci che abbraccia, in messaggi visivi di morbido sortilegio, atmosfere, suoni e colori secondo ritmi impalpabili che scaturiscono dallo scorrere del tempo (nel 2000, Il Cairo, Galerie de l'Opera e Extra Gallery; Marrakech, Riad Le Petit Prince e Essaouira, Villa Quieta, nel 2003;Casablanca. Galerie Athar, nel 2004).
Per Mirène, quindi, nuova dimensione contro la morsa del presente, da vivere come un indiscusso privilegio giunto da chissà dove e con finalità velate di mistero: quell'alone, quell'ala protettiva filosofale che anche l'artista rivolge essenzialmente al blue contro il flusso negativo - secondo il credo musulmano, l'energia avversa degli elementi - (Autour de bleu Majorelle. Reims, Villa Douce, 2004). Dominante in queste opere (soprattutto fotografie e pastelli) l'intensità della luce poichè l'elemento terreno, realtà tangibile e dolorosa, si snoda per piani compositivi in cromìe ad intensa drammaticità – tra rosso, giallo, ruggine, ocra, arancio, qualche tocco di bianco, rosa, verde, svolto a smitizzare la fermezza del blue, grigio, indaco e nero -. Nel cielo bruciante, il riverbero implacabile del sole acceca suggerendo il miraggio. Sogno crudele, oltre l'immensità di distese assolate e stralci desertici, l'orizzonte è soltanto una linea illusoria proiettata in un filo argenteo: quell'acqua tanto agognata, la nostalgia di un desiderio di pace - mai placato nel viandante avventuroso - che sempre più si allontana allo sguardo ma divampa nel cuore (Sinai. Paris, Centre Culturel d' Egypte, 2003).
Caterina Berardi
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