“Il Gobbo della Bassa” è un'antica leggenda diffusa in particolare nei pressi di Casaleone.

La vicenda del mitico Carpo, rozzo e basso abitante delle paludi e dei boschi di quelle che furono un tempo le valli estese tra il Tartaro e Il Po, è stata di recente proposta al pubblico dalla Pro Loco “Carpanea” di Casaleone nell'ambito di “Veneto Spettacoli di Mistero 2012”.
Un affollato Teatro K2 ha ospitato la rappresentazione della Compagnia di Prosa “Alle Binder”. Dopo l'introduzione di Fiammetta Rettondini - che ha ricordato anche la più nota leggenda della zona, quella della sfortunata città di Carpanea - gli attori, per lo più di verde età, hanno narrato il racconto fiabesco dandogli un taglio umoristico ed inframezzando il passato al presente. All'agile recitazione si sono alternati i numeri del Gruppo di Danza “Olimpia Dance” e gli spazi musicali del soprano Silvia Vassallo e del tenore Lorenzo Corazzato accompagnati dal maestro Andrea Tarantino.
Oltre un'ora e mezza di applaudito spettacolo, al termine del quale la presidente della Pro Loco Enrica Claudia De Fanti e del Consorzio “Radicchio Rosso Veronese” Pier Filippo Franzini, si sono soffermati sull'importanza della valorizzazione del patrimonio etnico locale. Un filone di cui s'è interessata nelle scorse settimane il programma “Geo & Geo” di Raitre, una cui troupe si è recata per le riprese tra Casaleone e Ostiglia producendo uno special sulle Grandi Valli Veronesi e sul mito di Carpanea che verrà trasmesso a giorni.
Una degustazione del tipico risotto ha concluso in un clima allegro e conviviale la serata, ripresa pure dall'emittente locale “Telecarpanea”. Lo spettacolo è stato realizzato in collaborazione con la Parrocchia e il Comune di Casaleone, l'UNPLI Veneto e il Consorzio Pro Loco del Basso Veronese.
(corrispondenza di Roberto Oliani)
La leggenda FILO’ del Gobbo della Bassa
(Vecchia e misteriosa leggenda di valli, boschi e paludi di Carpanea).
Si racconta che, tanti e tanti secoli fa, queste terre dette di Carpanea fossero isole coperte da immense foreste e cosparse da oscure paludi. Gli esseri che le abitavano erano bassi, tozzi e molto pelosi: destavano quasi paura.
I maschi erano orgogliosi della loro gobba, tanto che qualcuno si vantava della propria convinto che fosse più bella e voluminosa di quella altruii.
Tra di loro vi era un certo Carpo, molto amato da tutti per la sua generosità d’animo: infatti nonostante la sua mezza età, manteneva ancora l’animo e la bontà di un bambino. La sua compagna, come tutto il gentil sesso del luogo, era fornita di una folta chioma dorata e di graziosi baffetti… Come tutte le compaesane, ne andava fiera, pavoneggiandosi con chiunque incontrasse per la meticolosa perfezione di ‘taglio e colore’ (nacque qui il detto: donna baffuta sempre piaciuta).
Si chiamava NEA.
CARPO E NEA SI AMAVANO TANTISSIMO, ma litigavano ancor di più.
La loro vita trascorreva tranquilla, scandita solo dal susseguirsi del giorno e della notte e dal passar delle stagioni. Un giorno però, durante il rigido Gennaio, Carpo resosi conto che le scorte di legna e cibo erano improvvisamente finite,: decise a quel punto di uscire nella gelida nebbia per farne scorta.
Mentre vagava per la palude, senza capire dove andare a causa della fitta nebbiaudì un’incantevole melodia che rapì subito i suoi sensi e la sua mente.
Stupito, intravvide nel bosco una piccola schiera di splendide e sinuose danzatrici che si rincorrevano a vicenda attorno ad un tiepido fuoco la cui fiamma era calda luce ad illuminare i loro volti bellissimi e sorridentii.
Quando Carpo incredulo arrivò tra loro, le diafane fanciulle smisero di danzare e gli offrirono in segno di ospitalità una calda bevanda, profumata ai frutti di bosco con bacche essiccate dai raggi della luna.
D’improvviso, l’alba lo svegliò: Carpo ancora incredulo, era convinto di avere solo fatto un bel sogno: il suo ritorno a casa fu molto meno piacevole. Ci vollero ore per convincerlo che nulla era accaduto e che la notte l’aveva passata nel bosco a cercar legna…Nea lo aspettava sulla soglia di casa con aria minacciosa e, dopo averla convinta con tanta fatica che non aveva combinato niente di male, Carpo fu perdonato.
Nel villaggio nessuno voleva credere alla sua lieta avventura e, già dopo pochi giorni, non ci credeva più nemmeno lui se non fosse stato per un senso di implacabile nostalgia per quella dolce e profumata pozione che riscaldava l’anima.
Intanto arrivò la primavera e al villaggio s’iniziarono ad organizzare feste e banchetti in onore di Madre Natura che, in quel luogo, tanto era stata generosa e clemente.
In quei giorni, per l’appunto, Carpo era molto occupato nella raccolta di bacche e piccoli frutti di stagione e meditava segretamente di produrre quel delizioso nettare di cui mai aveva si era scordato. Dopo giornate intere di folli prove, i suoi intrugli iniziavano a profumare a tal punto da attirare l’attenzione degli amici: incuriositi vollero tutti prestarsi all’assaggio.
Giorno dopo giorno, tutti i maschi del villaggio si dichiaravano amici solidali e fedeli del buon Carpo: quella bevanda li aveva, per così dire, stregati e nessuno più riusciva a farne a meno. Le mogli non riuscivano a capire quale fosse la causa del cambio d’umore dei loro compagni né tanto meno, che cosa li spingesse a preferire la compagnia di Carpo alla loro. Correva voce che Carpo solesse ormai girovagare nei boschi per trovar legna ma, in realtà, cercasse il dolce nettare…E, ancora, come, una notte, Carpo, ad un rinnovato magico incontro, non esitasse a rimanere per sempre con le danzatrici del bosco. Tutt’oggi, quando la luna illumina la bassa nebbia sulla campagna di Carpanea, si può intravedere Carpo che cerca ancora la via del ritorno.
Questo racconto, tramandato dai nostri Vecchi, non sappiamo esattamente quando sia nato e se corrisponda a verità…Se Carpo consenziente sia stato rapito dalle soavi fanciulle o se il gobbo Carpo stia ancora girovagando per le paludi di Carpanea, ancor oggi.
Una testimonianza riporta come, all’inizio del ‘900, nelle osterie della valle s’incontrassero gruppi di contadini dediti a festeggiare gli eventi che accadevano in paese ed in famiglia con grandi bevute, d’inverno e d’estate…Le prime per riscaldarsi le seconde per rinfrescarsi .
Erano, costoro, mariti ‘distratti’ e giovani solitari che rientrando a tarda notte alquanto ubriachi trovavano la moglie o la madre ad aspettarli sull’uscio di casa con grossi bastoni.
Tra gli allegri contadini allora prese a diffondersi uno strano passaparola: “Dopo l’una di notte chiama il gobbo della valle e lui ti aiuterà”.
Così avvenne e, come per magia, le mogli non sentivano più rientrare i cari mariti avvinazzati ma se li trovavano al mattino, quieti, al proprio fianco.
Era uso raccontare infatti che il gentil gobbo caricasse i poveri ubriaconi sulla sua gobba e li riaccompagnasse a casa indenni; tanto più la dimora era lontana, tanto più la sua gobba si alzava, cosi che, una volta arrivati a destinazione, lui silenziosamente apriva la finestra della stanza da letto e poteva piano piano adagiarli sul letto accanto alle mogli che, al risveglio, non avevano il sospetto di nulla.
Una manciata di anni fa, al nonno Olfo (Rodolfo, in diminutivo) qualcosa di misterioso accadde: un’avventurosa notte non andò come, invece, narra la leggenda…Infatti, invece di farla franca, ancora una volta con nonna Ina (alterazione di Idina - Giuseppina) la rischiò davvero grossa.
Al mattino presto, quando nonna si svegliò, il nonno Olfo non era al suo posto: intatta, l’altra metà del letto, come se nessuno vi avesse dormito.
“Chissà cosa gli sarà successo..” pensò affranta nonna Ina, correndo giù per la scala in legno della modesta casa dove abitavano. Uscì in cortile, correndo e gridando a gran voce ai figli, ai parenti e ai vicini, la scomparsa del marito Olfo. Ma, di lì a poco, un carrettiere di passaggio le fece notare che c’era un uomo sul tetto: dormiva pesantemente appoggiato al comignolo del cammino. Era nonno Olfo! A quel mentre, per il gridare, Olfo si svegliò e, spaventato da quella insolita situazione, urlò a perdifiato, supplicando tutti di aiutarlo a scendere dal tetto.
Moglie, figli, parenti e vicini si chiedevano increduli come fosse potuto accadere che un uomo di tale stazza se ne fosse, tutto solo, salito di notte sul tetto senza l’aiuto di nessuno. Sta di fatto che, dopo un gran trambusto, chi con scale da fienile, chi con lunghe corde, si riuscì a salvarlo.
Olfo non riuscì mai a spiegarsi come gli accade di svegliarsi sul tetto della propria casa dopo un’allegra serata in osteria…La risposta poteva essere solo una: era andato a godersi la sua bevuta troppo lontano, perciò quando il gobbo della bassa Carpo lo aveva scaricato a casa, era così stanco e la sua gobba così alta che aveva superato sicuramente l’altezza della finestra. Quindi, anzi che gettarlo sul letto lo aveva proiettato, scaraventandolo direttamente sul tetto…Altra spiegazione, non era possibile.
(dai racconti “Filò”, testo raccolto da Enrica Claudia De Fanti)