Lia Franzìa. Humanitas: la memoria d'essere....
Del procedere di quest'artista che ama costruire per sottrazione, abbiamo già indicato il rigore assertivo della semplicità. Intesa come essenziale compostezza di tratto che si dispiega, in felice simbiosi, pulsante ma rispettosa e, ugualmente, solida.
Lia Franzìa intraprende un percorso comune a tanti ma che diviene per molti, nello scorrere frenetico del tempo, appena riaffiorante nella sua insostituibile cadenza: infanzia serena, nell'armonia condivisa di luoghi ed affetti familiari. Poi, la vita adulta, gioie e dolori e le inevitabili scelte, rese ancor più problematiche dal fardello morale di un'acuta sensibilità...Compagni di cammino, la pittura unita all'interesse per la mitologia apre, in logica successione, alla scoperta dell'icona del Bello (rappresentata dalla figura umana) e alla concettuale sinergia con i sommi del passato (Pisanello incisore e il Leonardo degli studi anatomici). Ma ben presto lo studio della figura umana, prima passione di Lia, sia pure in un vastissimo ambito di conoscenza ed apprezzamento sarà, infine, “privo di sbocchi”. Nasce, allora, l'amore per il ritratto, un genere la cui bellezza “ è lo studio profondo, non il disinteresse per gli altri...”: in prima fase, generico ( “Storia e mito”, “E allora?” “Ti vedo”, “Danae”), individuale, poi a figura abbinata per creare una scena - “torno al più intimo per salvare la qualità del nucleo” - il cui passaggio sottolinea il solenne, muto colloquio della statuaria classica ( “Madre dolente con figlio” ). Non più posa, ma ora ritratto drammatico dove l'acuta ( e volutamente distorta) notazione fisionomica s' in-forma, da ossessivo vettore, quale escamotage della serialità insita nel gruppo (richiamandosi alla lezione dei grandi “putrefatti”, Schiele, Bacon e Freud) ed illumina questo successivo ingredior - vera e propria pietra miliare della produzione di Lia -: il ciclo “Humanitas”. Un omaggio alla forza evocatrice della memoria del mondo esterno, potenza “nel dolore dell'umanità che va avanti...”. E', storia nella Storia, la consapevolezza della nostra presenza nel mondo, così impegnativa. Restano comunque, sull'asse, postazioni equidistanti per l'eroe dalle gesta gloriose che la Grande Storia ama celebrare e per il piccolo protagonista del quotidiano scorrere. Ma, per entrambi, dal vaso di Pandòra, il fluire della sofferenza, quella sensibilità dolente con la sua traiettoria di sempre reiterato pathos. La traccia visiva guizzante e spietatamente scarna - e, dunque, così veritiera -, è il tutt'uno simultaneo tra cuore e mente. Il cuore, eletto a sede della partecipe attenzione – così rara in questo momento storico dove, sullo scacchiere del primato, è il potere individuale, il padre dell'egoismo noncurante ed edonista, a vincere - . La mente, intesa a rieditare la storia, in chiave spesso ossessiva, fa esplodere la polla di quell'ordito di linee, fitta sequenza emozionale – la nota di quel colore-non colore (il grigio sul grigio, in scala argentea) o il magma siliceo, ramato o sulfureo con punte di verde o azzurro, il sapiente dissolversi di un dejà vu che penetra l'oggi ma non lascia affiorare il domani.

Con la sgorbia da legno, Lia dardeggia sulla superficie della tela – anzi ve li infigge, partorendoli drammaticamente, quei corpi. I graffiti di quel segno incisivo, quasi icastico che implica, nel continuo contrappunto tra toni cupi e squarci luminosi, il sensus animi' scaturito come fonte perenne da un pensiero lontano, quell'ellissi dei ricordi e dei momenti degli affetti comuni che nulla più giudica né chiede ad un universo che respira, da millenni, umile sofferenza ma non supina accettazione – “Ho capito la musica”, “Sempre io” -. Il poi, per Lia Franzìa, è tornare alle proprie radici, cogliere i profumi della terra di Liguria e del suo mare – non importa la stagione - in uno scenario di serenità. Rimpianta. Finalmente tangibile. Così, oggi e, auguriamocelo, a lungo, l'Eden di Lia rappresenta il grande libro della vita da sfogliare, giorno dopo giorno. Forse proprio per questo, aprendosi l'orizzonte allo sguardo – e al cuore, non più “Canòpo” ma “Finestra” -, l''Humanitas” si riconcilia con la Storia: in un arco ideale tra presente e passato ”Filia et mater” affrontano fiduciose, grazie al tesoro dell'esperienza, un passaggio senza ombre né simulacri. E, sempre, la Donna ( “Verso la vita” - su sfondo nero, il volume a fasce luminescenti bianche, gialle e rosa, schiude il bozzolo del corpo alla sua vera essenza -) si svela, in nudità consapevole ma non allusiva. Sentimenti, in adamitico pudore, essenziale e senza remore, (“Ancora insieme”, “Non ci capiamo”) ed Emozioni, nella serialità, cangiante, gioiosa e morbida, di una conquistata femminilità (“Siamo Donne”)...
Caterina Berardi
Pubblicato in data 09/01/2011