VENERDÌ 3 DICEMBRE 2021 16:38
 

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Paolo e Vittorio Taviani (ottantenni) riportano allori al cinema italiano.

Il coraggio della produttrice Grazia Volpi, da tempo al fianco dei due registi.

(nella foto, i fratelli Taviani con Grazia Volpi)

Cesare deve morire” Orso d’Oro a Berlino,  2 Nastri d’Argento, 5 David di Donatello, candidato italiano all’Oscar. I fratelli Taviani hanno riportato a casa  l’Orso da Berlino dopo 21 anni (l’ultimo, da Marco Ferreri con “La casa del sorriso”); avevano vinto a Cannes due volte con “Padre padrone” e “La notte di San Lorenzo”.

Certamente i due registi ottantenni sono riusciti, reinventando Shakespeare, a rimettersi in gioco e a folgorare la giuria. Il loro ultimo film ha anche risvegliato in noi i ricordi di un’appassionata attività: dall’esordio intrepido negli anni Sessanta (da “Un uomo da bruciare” a “Il prato”)  alle opere della maturità (da “La notte di San Lorenzo” a “La masseria delle allodole”). Un cinema che ha raccontato una generazione, un cinema del presente alla costante ricerca di un lavoro linguistico con gli attori, la musica, il montaggio.

    Il cinema dei Taviani, a nostro parere, pur con sfumature diverse in base al momento in cui i singoli film vennero prodotti, è stato un cinema di “utopia”. Con “Cesare deve morire” l’utopia si sgretola nella materializzazione dei personaggi (Cassio, Bruto, Cesare, Marcantonio, e gli altri) e diventa un cinema fatto di espressioni e di corpi.  L’incontro con un incredibile gruppo di attori detenuti nel carcere di Rebibbia (condannati per camorra, omicidio, droga, alcuni già dichiarati all’ergastolo) è l’occasione per teatralizzare questa messa in scena.

La recita degli attori detenuti si fa disincanto e colpisce al cuore sia chi la interpreta, sia chi l’ascolta. In una dimensione metaforica esplodono sogni traditi, tradimenti, l’oscuramento della ragione.

Una sequenza ineluttabile, poiché Paolo e Vittorio, al tempo di “Sotto il segno dello scorpione” affermarono di voler  “… dare dei pugni in faccia al pubblico, perché il pubblico si è addormentato per colpa del cinema di consumo”… Mentre, oggi, subentra il pathos di una sottile introspezione : “entrare nel profondo di un’opera come questa significa guardare dentro se stessi: soprattutto quando si lasciano le tavole di un palcoscenico per tornare a chiudersi dentro le pareti di una cella”.

Di fronte a questo ultimo lavoro dei Taviani, alla scelta di produrre una storia proveniente dall’inferno, abbiamo chiesto a chi ha sostenuto il film, alla produttrice Grazia Volpi, di chiarirci il successo di quest’opera  e di farci testimoni della sua attività imprenditoriale  nel contesto del cinema italiano.               

 

  Signora Volpi, Lei è stata molto vicina al lavoro dei Fratelli Taviani quale produttrice. Qual è il merito che attribuisce maggiormente agli Autori per il successo di "Cesare deve morire"?

“Il merito principale è dato dal fatto che hanno scelto e vissuto questo film con passione, partecipazione ed emozione tali da essere trasmesse a tutti coloro che ne sono stati spettatori, che infatti le hanno totalmente condivise.

Altro merito è certamente la grande capacità narrativa che ha permesso loro di coniugare le storie e i sentimenti dei detenuti con quanto la grandezza di Shakespeare esprime attraverso il Giulio Cesare, raccontandone il dramma non solo sul palcoscenico, ma anche e soprattutto attraverso il vissuto dei detenuti-attori che preparandosi allo spettacolo si immedesimano al punto da mostrarci la morte di Cesare che avviene in un ambiente carcerario quale quello "dell'ora d'aria", coinvolgendo anche i detenuti che non fanno parte del cast né teatrale né cinematografico!”

 

 

Ora "Cesare deve morire" è candidato italiano agli Oscar. I due grandi registi, affrontando Shakespeare, si sono messi in gioco diversamente, hanno colpito il cuore dello spettatore. Pensa che questa reinvenzione possa favorirci di fronte agli accademici americani, non nuovi a Shakespeare, ricordando inoltre che il "Giulio Cesare" di Mankiewicz vinse un Oscar?

 

“ Io credo che l'Oscar ricevuto dal Giulio Cesare di Mankiewicz, così  come il fatto che gli accademici non siano nuovi a Shakespeare, non ostacoli il nostro film, ma piuttosto aiuti a rilevare l'originalità e la popolarità di uno Shakespeare recitato in dialetto e reso al massimo comprensibile e partecipabile a tutti i livelli.”

Lei è una 'pioniera' della produzione cinematografica al femminile. Si tratta di una attività imprenditoriale sfaccettata e difficile?   

 

“ Non c'è dubbio che l'attività imprenditoriale cinematografica sia difficile, sia per gli alti costi racchiusi in pochi mesi di attività sia perché ogni film è un prototipo e quindi non permette di utilizzare risultati già verificati, ma soprattutto perché la produzione delle opere dell'ingegno non ha l'oggettività e quindi la stabilità data dalla produzione edilizia e automobilistica né la garanzia data dalla produzione di beni di prima necessità. Per quanto riguarda l'imprenditoria femminile gli ostacoli da superare sono molti ancora adesso, ma all'epoca dei miei inizi mancava qualsiasi forma d'aiuto, non essendo ancora nato il femminismo degli anni '70. Ma non posso fare a meno di sottolineare che proprio le difficoltà e gli ostacoli hanno fatto sì che il lavoro femminile, per potersi affermare, diventasse più impegnato, più approfondito, più preciso, in qualche modo più prezioso di quello maschile.”

 Quale l’input alla sua prima produzione, con "Quanto è bello lu murire acciso” (1975; David di Donatello per la regia)? 

 

(nella foto archivio l'Unità, "Quanto è bello lu murire acciso")

 

“Nel 1975 ho realizzato il mio primo film da produttore "Quanto è bello lo murire acciso" dopo quasi dieci anni nei quali avevo curato la produzione di film con il ruolo di organizzatrice tra i quali " Sotto il segno dello scorpione" dei Taviani e "Lettera aperta a un giornale della sera" di Maselli, entrambi realizzati nel '68. Negli anni '70 mi sono dedicata alla cooperazione culturale creando prima una cooperativa, poi un consorzio ed infine una associazione culturale, instaurando quindi molti rapporti con autori e lavoratori dell'industria cinematografica  e di conseguenza ricevendo molti progetti tra cui una grande quantità di  opere prime.

La scelta dell'opera prima di Ennio Lorenzini fu spinta sia dalla qualità della proposta che dal mio particolare interesse per il tema trattato.”

(servizio a cura di roberto tirapelle) 

Si ringrazia Claudia Cirasola  (Kaos cinematografica)

 

Grazia Volpi presenta una produzione KAOS Cinematografica 

in associazione con STEMAL ENTERTAINMENT

LE TALEE

LA RIBALTA - Centro Studi E. M. Salerno

in collaborazione con RAI Cinema

un film di PAOLO E VITTORIO TAVIANI  CESARE DEVE MORIRE”

distribuito da SACHER Distribuzione

 

CAST Artistico

Cassio Cosimo Rega

Bruto Salvatore Striano

Cesare Giovanni Arcuri

Marcantonio Antonio Frasca

Decio Juan Dario Bonetti

Casca Vittorio Parrella

Metello Rosario Majorana

Lucio Vincenzo Gallo

Trebonio Francesco De Masi

Cinna Gennaro Solito

Indovino Francesco Carusone

Stratone Fabio Rizzuto

Ottavio Maurilio Giaffreda

 

 

CAST tecnico

Regia Paolo e Vittorio Taviani

Soggetto e Sceneggiatura Paolo e Vittorio Taviani

Collaborazione alla sceneggiatura Fabio Cavalli

Direttore della fotografia Simone Zampagni

Fonici Benito Alchimede e Brando Mosca

Organizzatore Generale Patrich Giannetti

Coordinatrice Claudia Cirasola

Regia delle scene teatrali Fabio Cavalli

Aiuto Regia Mimmola Girosi

Montaggio Roberto Perpignani

Musiche Giuliano Taviani, Carmelo Travia

Ed. Musicale Ala Bianca Publishing

 

Produttore Esecutivo Donatella Palermo

Produttore delegato Agnese Fontana

Pubblicato in data 01/11/2012